Achille trascina il corpo di Ettore attorno alle mura di Troia
Gaetano Gandolfi | 1801
Attualmente esposta: Musei Civici di Palazzo Farnese, Pinacoteca
Secondo quanto riportato concordemente dalla critica il dipinto recava sul retro della tela la scritta: “G. G. 1801”. La foderatura effettuata nel restauro curato da Maricetta Parlatore nel 1981 ne impedisce ora la lettura. La notizia appare comunque attendibile dal momento che indubbia è l’autografia di Gaetano Gandolfi, così come convincente risulta il riferimento alla sua estrema attività, nell’anno precedente la scomparsa. L’episodio raffigurato è tratto da un celebre passo del libro XXII dell’Eneide (467 – 520), quello della morte di Ettore per mano di Achille e dello scempio che questi fece del corpo straziato, legato al carro e trascinato sotto le mura di Troia per vendicare l’uccisione di Patroclo. Dalle mura assistono i soldati troiani e una donna in preda alla disperazione, molto probabilmente Ecuba, la madre di Ettore, o, come suggerirebbe la giovane età, la moglie Andromaca, sopraggiunta in un secondo tempo richiamata dall’urlo straziante di Ecuba. La vicenda critica non oltrepassa gli ultimi due decenni. Il dipinto è stato reso noto infatti solo nel 1980 da Paola Ceschi Lavagetto nell’ambito delle ricerche condotte sui patrimoni artistici delle Opere pie nell’intero territorio della Regione Emilia Romagna. Allora l’opera era collocata nel Municipio di Piacenza dove era pervenuta dalla sede dell’Ente comunale di assistenza. Qualche approfondimento sulla provenienza è stato compiuto nel 1992 da Prisco Bagni il quale, grazie alle ricerche documentarie di Giorgio Fiori, ha recuperato almeno in parte la storia antica. Il dipinto apparteneva all’Opera pia Gramigna di Piacenza istituita per volere della gentildonna Anna Maria Gramigna (1756 – 1824) (vedi la scheda precedente). Va tuttavia osservato che nell’inventario dell’eredità Gramigna compilato il 19 dicembre 1825 non si trova alcuna citazione di questo quadro come pure dell’altro dipinto di Gaetano Gandolfi con Ulisse presso la maga Circe; compare, invece, semplicemente, la registrazione indistinta e cumulativa di dodici quadri (ASPc, fondo Eca, Opera pia Gramigna, D. Legato Gramigna, 361, IV, 1, fasc. 25); così che a tutt’oggi la prima testimonianza sicura del dipinto risale alla descrizione un poco fantasiosa dell’inventario dell’Opera pia compilato il 31 dicembre 1890 dove si legge: “cinque quadri d’ignoti autori, sopra cornici dorate rappresentanti il primo la condanna a morte di delinquenti legati ad una biga tirata da due cavalli”. Si può tuttavia supporre con sufficiente fondamento che il dipinto fosse presso l’Opera pia almeno dal 1876, anno cui risale un primo inventario che registra “… cinque quadri ad olio e cornici”, sicuramente i medesimi dell’inventario del 1890 (ibidem, Opera pia Gramigna, Amministrazione, 360, I, 44). La mancata registrazione nell’inventario di beni mobili e immobili di Anna Maria Gramigna fa sorgere il sospetto che il dipinto sia confluito in quell’Opera pia solo qualche tempo dopo la sua istituzione, con i lasciti che si aggiunsero nel corso del secolo. Sarebbe suggestiva l’ipotesi che potesse far parte del lascito di Angela Gandolfi, moglie del capitano Carlo Antonio Corneli che fece la sua donazione con atto testamentario del 5 agosto 1839, aperto il 24 febbraio 1841; ma le carte del fondo archivistico non offrono indizi particolari che avvalorino quelle eventualità. Brevemente si sofferma sull’opera Donatella Biagi Maino per affermarne l’appartenenza alla fase estrema dell’attività di Gaetano Gandolfi, “allorché l’artista si misura con le difficoltà di nuove iconografie, nella più parte dei casi con risultati superbi: ma non in questo, fragile e poco convincente per impostazione e nei particolari, i fondali di cartapesta, la spiccata teatralità del gesto di Andromaca sugli spalti”. La composizione appare in realtà il frutto di un ricco tramando che lascia supporre la conoscenza di una illustre tradizione figurativa. Paola Ceschi Lavagetto ha pertinentemente richiamato un dipinto di Donato Creti, la Morte di Ettore eseguito per Marcantonio Collina Sbaraglia attorno alla metà del secondo decennio del Settecento ora conservato presso le Collezioni comunali d’arte di Bologna, ben descritto da Giampietro Zanotti nella sua Storia dell’Accademia Clementina edita nel 1739; “sta Achille con un’asta in mano, e in atteggiamento fiero, e superbo, sopra un carro tirato da due vivaci, e strepitosi cavalli … All’asse del carro sta per li piedi legato il corpo d’Ettore ucciso, che così viene strascinato per lo campo de’ Teucri”. Una analoga composizione regge il grande dipinto di Francesco Monti che si conserva nella collezione Durazzo Pallavicini di Genova, commissionato all’artista bolognese nell’ottobre 1718 e portato a conclusione entro il 1720, elemento di una serie composta da sei tele richieste a diversi artisti bolognesi dal marchese Giacomo Filippo II Durazzo (A. Mazza, in Il Palazzo Durazzo…, 1995, pp. 92 – 95). In queste diverse versioni del tema di Achille vincitore, che trascina il corpo straziato di Ettore come un macabro trofeo, sono ravvisabili testimonianze significative della fortuna iconografica dell’eroe greco nella pittura del Settecento emiliano, come conferma anche il grande dipinto di Francesco Vellani in palazzo Tirelli a Reggio Emilia (sull’argomento cfr. R. Roli, 1990, pp. 52, 56, n. 27); ma soprattutto si può notare una sostanziale idea compositiva che si ricollega con tutta verosimiglianza a una celebre invenzione incisa da Pietro Testa, facente parte di una serie di tre illustrazioni dedicate a episodi della vita di Achille, attorno alla quale si muove anche il dipinto di Subleyras con il Martirio di sant’Ippolito a Fontainebleu (E. Cropper, 1984, p. 174 e fig. 83; E. Cropper, 1988, pp. 262 – 264, schede 121 – 122; O. Michel – P. Rosenberg, 1987, pp. 154 – 158). Il soggetto si espande nel formato slargato della tela e il moto delle figure concatenate dei due cavalli imbizzarriti, di Achille sul cocchio e del corpo stirato di Ettore, si svolge lungo la diagonale contro il fondale della città caratterizzata dallo sviluppo orizzontale delle mura. Rispetto alle varianti della tela di Francesco Monti, densa di aggiunte secondarie, con guerrieri e corpi inanimati che infittiscono la scena, Gaetano Gandolfi recupera una lontana semplicità di presentazione che isola i protagonisti dell’episodio in una suggestione mitica, ravvivandola nello stesso tempo, come ha osservato Paola Ceschi Lavagetto, con “splendidi brani di pittorica sensibilità”. Uno studio grafico dell’intera composizione, conservato nella collezione Paul Vercier a Sainte-Adresse, è stato pubblicato da Prisco Bagni (mm 206x252; acquistato a Rouen nel 1965 con probabile provenienza dalla collezione Bloch). Analoga composizione si ritrova in un dipinto di Gaetano Gandolfi di pochi anni precedente, quello raffigurante Tullia che passa con il carro sul corpo del padre, Servo Tullio reso noto da Prisco Bagni (1992, pp. 436 – 437; D. Biagi Maino, 1995, p. 408) e facente parte di una serie di quattro dipinti eseguiti tra il 1797 e il 1799.
Informazioni tecniche
- Con cornice: cm176x138
• 1861: Congregazione della Carità di Piacenza;
• Fino 1977: Ente comunale assistenza di Piacenza (ex Congregazione della Carità);
• Dopo 1977: Comune di Piacenza
• La Pinacoteca e i Fasti, Piacenza 1992;
• Bologne au siècle des Lumières. Art et science entre réalité et théâtre, Palais Fesch-Musée des Beaux-Arts d’Ajaccio, Ajaccio, 29 giugno-30 settembre 2024.
Bibliografia
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P. Ceschi Lavagetto, in "Arte e pietà", Bologna 1981, pp. 155 – 156;
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P. Ceschi Lavagetto, Qualche inedito ai margini della mostra “Arte e pietà” di Piacenza, in “Bollettino d’Arte”, LXVIII, s. VI, 17, 1983, pp. 89 – 90;
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D. Biagi Maino, La pittura in Emilia Romagna nella seconda metà del Settecento, in "La pittura in Italia.Il Settecento", a cura di G. Briganti, Milano 1990, vol. I, p. 297;
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P. Bagni, I Gandolfi. Affreschi, dipinti, bozzetti, disegni, Bologna 1992, pp. 465 – 466;
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D. Biagi Maino, Gaetano Gandolfi, Torino 1995, pp. 411 – 412;
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A. Mazza, in "Il Palazzo Farnese a Piacenza. La Pinacoteca e i Fasti", catalogo della mostra (Piacenza, 1992) a cura di Stefano Pronti, Milano 1997, pp. 214 – 215 (n.69);
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A. Malinverni, in “Ulisse. L’arte e il mito” catalogo di mostra, 2020, p.411;
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A. Iommelli, in “Bologne au siècle des Lumières. Art et science entre réalité et théâtre” catalogo di mostra a cura di Andrea Bacchi, Silvana Editoriale, Milano, 2024, pp.320-321.
Scheda di A. Mazza, in Il Palazzo Farnese a Piacenza. La Pinacoteca e i Fasti, catalogo della mostra (Piacenza, 1992) a cura di Stefano Pronti, Milano 1997