Ulisse si sottrae all’incantesimo di Circe grazie all’aiuto di Mercurio
Gaetano Gandolfi | 1766
Attualmente esposta: Musei Civici di Palazzo Farnese, Pinacoteca
In basso a sinistra, sul gradino – non sul verso della tela come è stato osservato (peraltro non visibile a motivo della rintelatura: D. Biagi Maino, 1995, p. 353) – si trova l’iscrizione autografa dell’artista, in parte svanita per la consunzione del colore: “in Bolo … / Caiet. Gandolfi f. 1766”; una scritta importante in quanto colloca con sicurezza il dipinto tra le prime opere di certa datazione. Il soggetto raffigurato fa riferimento a un celebre passo dell’Odissea (X, 285 – 713), quello dell’incontro di Ulisse con la maga Circe che aveva trasformato in animale i suoi compagni. In primo piano, in un forte contrasto di chiaroscuro, l’artista ha disposto sul pavimento alcuni uomini descrivendone la metamorfosi animale; ma lo sguardo dell’osservatore è attirato dalla luce intensa che colpisce i due protagonisti. Ulisse ha già sfoderato la spada seguendo i consigli di Mercurio raffigurato in volo; grazie al suo aiuto i poteri magici di Circe sono stati neutralizzati. La composizione è retta da un’abile regia luministica e da un articolato contrapposto tra le figure di Ulisse e di Circe da un lato e, dall’altro, la dinamica impostazione di Mercurio in prospettiva acrobatica. Come l’altro dipinto di Gaetano Gandolfi conservato nel Museo civico, la vicenda critica di questa tela ha avuto inizio meno di vent’anni fa in occasione della vasta ricerca sui patrimoni artistici delle Opere pie estesa all’interno territorio dell’Emilia Romagna. L’attribuzione a Gaetano Gandolfi, subito formulata da Eugenio Riccomini, ha ricevuto conferma nel corso del restauro con la scoperta dell’iscrizione sopra riportata. Pubblicandola nel catalogo della mostra piacentina sulle Opere pie, Paola Ceschi Lavagetto ha sottolineato l’appartenenza “al periodo più felice dell’attività artistica”, quello della prima maturità seguente la fondamentale informazione veneziane compiuta nel 1760. La studiosa è in seguito tornata sull’argomento rilevando “la stretta consonanza stilistica con la Liberazione di san Pietro dal carcere, oggi a Stoccarda, nel disporsi delle figure in diagonali divergenti, nel sapiente contrasto tra le forme scomposte a terra e le luminose figure in alto, e soprattutto nell’uso di una cromia esaltata e fluida”; in quell’occasione ha segnalato il disegno preparatorio conservato presso il County Museum of Art di Los Angeles. In seguito l’opera è stata pubblicata da Prisco Bagni che contribuito a precisarne la provenienza. Passata in proprietà del Comune di Piacenza nel 1977, essa apparteneva all’Ente comunale assistenza, nel quale, nel 1937, erano confluiti i beni della Congregazione di carità. A quest’ultima era pervenuta con i beni dell’Opera pia Gramigna di Piacenza costituita per effetto delle volontà testamentarie della signora Anna Maria Gramigna (per il testamento si veda ASPc, Archivio notarile di Piacenza, notaio Giuseppe Cocchi, 19756, 21 dicembre 1822). Si deve tuttavia precisare che del dipinto non si trova menzione dell’Inventario dei beni mobili steso il 19 dicembre 1825 alla morte della testatrice (ASPc, fondo Eca, Opera pia Gramigna, D. Legato Gramigna, 361, IV, 1). Ciò può far supporre che tanto questo quanto l’altro dipinto di Gaetano Gandolfi possano essere pervenuti all’Opera pia Gramigna con uno dei non pochi lasciti che si aggiunsero nel corso del secolo. La sua più antica citazione, peraltro un poco fantasiosa come del resto quella dell’altro dipinto, risale a un inventario del 31 dicembre 1890; ma è lecito credere, in forza delle costanti descrittive, che il dipinto fosse tra quei “cinque quadri ad olio con cornici” ricordati in un inventario meno dettagliato risalente al 14 febbraio 1876 (ibidem, Opera pia Gramigna, Amministrazione 1825-96, 360, I, 44). Più di recente l’opera è stata pubblicata nella monografia dell’artista come “bellissimo … esemplare della felice attitudine dell’artista alla resa di racconti mitologici di sciolta vivezza” (D. Biagi Maino, 1995). Si colloca tra le prime prove dell’artista ormai trentaduenne provviste di una unitaria compiutezza formale, quale punto d’arrivo di sperimentazioni inizialmente impacciate – come la Visione di san Girolamo dell’oratorio del Suffragio a Piumazzo (1756) della quale si conosce il bozzetto, la Vocazione di Giacomo e di Giovanni della parrocchiale di Piumazzo (1757) – e quindi sempre più sciolte per effetto anche dell’accelerazione impressa dall’incontro diretto con le opere venete nel breve soggiorno a Venezia, come mostra già nei primi anni sessanta – dopo la Crocifissione con la Madonna, la Maddalena e san Giovanni dei Musei civici di Reggio Emilia – la vorticosa tela bolognese di Santa Maria della Carità con la Gloria di angeli (1764), preludio alla tela qui esaminata di due anni più tarda. D’altra parte il dipinto piacentino si lega strettamente alla tela di Detroit presso il Detroit Institute of Arts (e di conseguenza al suo modelletto) la cui datazione andrà anticipata attorno alla metà del settimo decennio, prendendo il posto della piccola tela di Stoccarda con Venere e Vulcano che appartiene invece ad anni più maturi. Come è stato osservato, la foga della composizione svettante anticipa a sua volta uno dei capolavori dell’artista, l’apprezzata Liberazione di san Pietro dal carcere della Staatsgalerie di Stoccarda.
Informazioni tecniche
- Con cornice: cm 115x160
• 1861: Congregazione della Carità di Piacenza;
• Fino 1977: Ente comunale assistenza di Piacenza (ex Congregazione della Carità);
• Dopo 1977: Comune di Piacenza
• La Pinacoteca e i Fasti, Piacenza 1992;
• Il Neoclassicismo in Italia. Da Tiepolo a Canova, Palazzo Reale, Milano, 2 marzo – 28 luglio 2002;
• Ulisse. L’arte e il mito, Musei San Domenico, Forlì, 19 maggio – 31 ottobre 2020;
• Bologne au siècle des Lumières. Art et science entre réalité et théâtre, Palais Fesch-Musée des Beaux-Arts d’Ajaccio, Ajaccio, 29 giugno-30 settembre 2024.
Bibliografia
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P. Ceschi Lavagetto, in "Arte in pietà", Bologna 1981, pp. 154 – 155;
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P. Ceschi Lavagetto, Qualche inedito ai margini della mostra “Arte e pietà” di Piacenza, in “Bollettino d’Arte”, LXVIII, s. VI, 17, 1983, pp. 89 – 90;
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D. Biagi Maino, Gli inizi dei Gandolfi e la cultura artistica bolognese alla metà del Settecento, in "Fondazione di studi di storia dell’arte Roberto Longhi", Annali, 1989, II, pp. 137, 143, n. 114;
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D. Biagi Maino, Gandolfi Gaetano, in "La pittura in Italia. Il Settecento", a cura di G. Briganti, Milano 1990, vol. II, p. 728;
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P. Bagni, I Gandolfi. Affreschi, dipinti, bozzetti, disegni, Bologna 1992, pp. 235, 238;
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D. Biagi Maino, Gaetano Gandolfi, Torino 1995, pp. 35, 353, 354;
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A. Mazza, in "Il Palazzo Farnese a Piacenza. La Pinacoteca e i Fasti", catalogo della mostra (Piacenza, 1992) a cura di Stefano Pronti, Milano 1997, pp. 213 – 214 (n.68);
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A. Marandotti, in “Il Neoclassicismo in Italia. Da Tiepolo a Canova” catalogo di mostra a cura di Fernando Mazzocca, Skira, Milano, 2002;
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A. Malinverni, in “Ulisse. L’arte e il mito” catalogo di mostra, 2020, pp.410-411;
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A. Iommelli, in “Bologne au siècle des Lumières. Art et science entre réalité et théâtre” catalogo di mostra a cura di Andrea Bacchi, Silvana Editoriale, Milano, 2024, pp.298-299.
Scheda di A. Mazza, in "Il Palazzo Farnese a Piacenza. La Pinacoteca e i Fasti", catalogo della mostra (Piacenza, 1992) a cura di Stefano Pronti, Milano 1997
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