Madonna adorante il figlio con san Giovannino

Sandro Botticelli |  1475 circa

Attualmente esposta: Musei civici di Palazzo Farnese, Pinacoteca

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È proveniente dal Castello di Bardi (Parma), dove era collocata fin 1642 (Pronti, 1988). Bardi e Compiano appartennero alla famiglia piacentina dei Landi e passarono al duca Ranuccio II, che li acquistò nel 1682, dopo l’opera diplomatica condotta dal dottor Fausto Perletti alla corte imperiale. È attestata la sua medesima collocazione da due inventari di casa Landi di Chiavenna, trovati dallo scrivente.
Nel 1860 passato il castello al Demanio del Regno di Italia, il sindaco di Piacenza come Faustino Perletti lo ottenne per la città, mentre si stava trattando la cessione gratuita del grandioso complesso monastico lateranense di Sant’Agostino di Piacenza sullo Stradone Farnese, per istituirvi la scuola di cavalleria.
La prima attribuzione al Botticelli fu di B. Pollinari, maestro di pittura all’Istituto Gazzola, fin dal 1880; nel 1902 fu esposto alla Mostra di Arte sacra e fu visto da Adolfo Venturi, che ne confermò l’attribuzione al Botticelli e curò il primo restauro. Il terzo e ultimo restauro fu eseguito nel 1957-58 all’Istituto centrale del Restauro di Roma sotto la direzione di Cesare Brandi con la collaborazione di Giovanni Urbani.
Sulle condizioni attuali ha scritto un acuto commento Alfio del Serra (1988), restauratore della Primavera e della Nascita di Venere. L’opera rappresenta la Madonna che adora inginocchiata il figlio, adagiato sul suo ampio mantello sopra un fascio di rose recise, in un prato di erbetta, con ai lati due cespugli di rose fiorite; il san Giovannino è contrapposto alla Madonna e, con un succinto vestito di pelle di capra e un mantello rosso, sta inginocchiato, con le braccia aperte in segno di stupita venerazione e con la croce di giunco. Il paesaggio centrale degrada fino all’orizzonte ed è segnato da un torrente, qualche pianticella e un’alta montagna a picco; la profondità è suggerita da variazioni tonali grigie e marroni, che sfumano nel chiarore dell’azzurro del cielo. Alla base del tondo l’ambientazione naturalistica viene delimitata da una finta cornice in legno rettilinea bianca sotto la quale si legge la scritta a caratteri d’oro “quia respesit humilitate ancile sue”. È un espediente architettonico-epigrafico non comune, che interrompe la spazialità tradizionale; deve essere certamente approfondito.

La realizzazione sicura del disegno e degli incarnati della Madonna e del Bambino è di altissima qualità e il volto di san Giovannino con capigliatura a caschetto rientra nettamente nel tipo efebico dei fanciulli e degli angeli del Botticelli. Le velature (velo della Vergine, nimbi) sono sottili e diafane, lontane da quelle più consistenti di Filippo Lippi, suo primo maestro. Anche le dorature sono estremamente contenute e distribuite nel tenue ricamo ai bordi del manto e nei piccoli raggi attorno al bambino, che hanno valore di delicate luminescenze. La figura della Madonna pia e umile ha le caratteristiche ricorrenti e inconfondibili di quelle del Botticelli del periodo di mezzo; l’inclinazione del volto non è ancora pronunciata come nelle opere attorno al 1490, dove il volto si piega quasi sulla spalla e suggerisce la massima intensità di sforzo venerativo, che nella Natività mistica del 1501 troverà il suo culmine. La fisionomia dei volti rimanda direttamente alla Madonna del libro del Poldi Pezzoli e alla Madonna del Magnificat degli Uffizi, entrambi riferibili alla metà degli anni ottanta: profilo con occhi semichiusi e narici pronunciate della Madonna, tipo di testa del Bambino con capelli biondi e corti e anatomia delle membra. Il gesto del Bambino è piuttosto inconsueto, anche se naturalissimo, ed è stato interpretato da alcuni (Mesnil) come un motivo influenzato dal verismo dell’arte fiamminga diffusa a Firenze nella seconda metà del Quattrocento. Tale gesto potrebbe tuttavia sottintendere un significato molto più complesso, che autorizzerebbe a ipotizzare qualche circostanza relativa al soggiorno romano del Botticelli (1481-82), che opera nella cappella Sistina a fianco del Perugino autore del dipinto rappresentante la circoncisione del figlio di Mosè: l’avvenuta circoncisione di Gesù come discendente della tribù di David e l’allusione alla reliquia del sacro Prepuzio venerata nella Basilica lateratense. Si rinvia la discussione ad altra sede, ma è da dubitare che il Botticelli, dispensatore di complesse allegorie e di argomentazioni sottili e dotte, abbia ideato e composto questo tondo così importante senza impreziosirlo con un concetto elevato.

Il san Giovannino è da considerarsi originale, anche se di mano di un aiuto, poiché alla sua figura si sovrappongono le foglie e l’aureola del Bambino. L’episodio dell’adorazione del san Giovannino sembra tratto da un testo volgarizzato di frate Giovanni de’ Cauli da San Gimignano (XVI secolo), in cui si narra dell’incontro tra i due Bambini. Questo tema, introdotto da Filippo Lippi verso il 1450, fu depurato e adottato per la prima volta dal Botticelli nella Madonna del Roseto del Louvre (1468) ed ebbe poi una rapida diffusione tra gli illustri compagni del Botticelli, cioè Leonardo e Perugino, adattato da ognuno alla propria poetica.

Per la datazione del tondo sono stati finora proposti il periodo immediatamente successivo al 1470 (Mensil) e quello vicino al 1481 (Gamba, Salvini). Il problema non è facile perché il tema della Madonna con il Bambino è il più diffuso dal 1465 al 1485, mentre il tema della Madonna adorante ricorre in undici opere dal 1483 al 1495, di cui sei in tondo. Una datazione corretta si può raggiungere esaminando il paesaggio e la fisionomia delle figure. Il tipo di paesaggio del tondo si colloca tra quello con presenze architettoniche del primo periodo fino ai primi anni settanta e quello indurito e massificato dopo il 1490. Nel periodo tra il 1470 e il 1490 nel paesaggio botticelliano c’è lo studio scientifico delle forme naturali e dell’atmosfera, certamente influenzato dalla posizione di Leonardo. La fisionomia e l’anatomia delle figure restringe ulteriormente il probabile periodo di esecuzione del tondo piacentino tra la Madonna del Magnificat degli Uffizi e la Madonna del libro del Poldi Pezzoli (1483-85) e la Madonna adorante il Bambino con quattro angeli (Madonna delle rose) di Palazzo Pitti (1487-90). Quest’ultima in particolare, pur essendo con buona ragione attribuita alla scuola, sembra riprendere in modo artificioso la disposizione delle pieghe del manto azzurro del tondo piacentino, qui realizzate con eccellente fluenza.

La cornice dorata è da considerarsi pertinente alla tavola dipinta sia per la perfetta aderenza e per il richiamo dei significati allegorici dei frutti rappresentati (fertilità, vitalità, eternità) sia per la descrizione degli inventari antichi. Un tale capolavoro d’intaglio, con una doratura e laccatura verde (di cui rimangono tracce) di notevole valore venale, non poteva non uscire da una bottega illustre. La bottega, che lavorò soprattutto su committenza della corte medicea e per il Botticelli, era quella dei Sangallo da cui uscì anche la cornice per la perduta Madonna di Berlino (1484) del Botticelli e quella per l’Adorazione dei Magi del Ghirlandaio per l’Ospedale degli innocenti (1489), che non casualmente costituiscono due termini significativi anche per il tondo piacentino secondo l’esame iconografico-stilistico effettuato. Non è da dimenticare, infine, che negli anni ottanta furono molto stretti rapporti tra il Botticelli e Giuliano da Sangallo, che riprodusse in disegni le opere dell’amico.


Informazioni tecniche
Tipologia di opera
Dipinto (tondo)
Ambito disciplinare
-
Corrente artistica
-
Materiale
-
Tecnica
Tempera all’uovo (tempera grassa)
Misure
cm Ø 96,5 cornice lignea dorata (largh. cm 13,5)
Stato di conservazione  
-
Data di restauro
- 1902: lavori per mostra d’arte sacra, diretti da Stefano Merlatti e Adolfo Venturi;
- 1934
- 1957-1958: realizzato dall’Istituto Centrale del Restauro finalizzato alla rimozione dei ritocchi superficiali e delle ridipinture, al risanamento ligneo e sositituzione parchettatura
- 2004: realizzato da Carlo Giantomasi e Donatella Zari per mostra a Parigi presso il Musée du Luxembourg
Numero di inventario
2
Provenienza
- 1642: Rocca di Bardi (Parma);
- 1682: Capella dell’appartamento del castellano della Rocca di Bardi;
- 1860: dal nuovo oratorio dello stesso maniero l’opera viene destinata dallo Stato alla Pinacoteca di Torino;
- 1862: lo Stato assegna l’opera al Comune di Piacenza che la colloca in Municipio;
- 1891: l’opera viene spostata nella Biblioteca Comunale
- 1903: l’opera viene trasferita definitivamente al Museo Civico di Palazzo Farnese.
Collocazione
Sala 3 (Sala Botticelli) Pinacoteca, Musei Civici di Palazzo Farnese
  • Mostre

    - Mostra d’arte sacra, chiesa San Vincenzo,  Piacenza, 1902;
    - II Esposizione d’arte sacra, Piacenza, maggio 1926
    - La Pinacoteca e i Fasti, a cura di Stefano Pronti,  Piacenza, 1992;
    - Botticelli. De Laurent le Magnifique à Savonarola, a cura di D. Arasse e P. De Vecchi, Musée du Luxembourg, Parigi, ottobre 2003-febbraio 2004;
    - Denaro e Bellezza, i banchieri, Botticelli e il rogo delle vanità, a cura di Ludovica Sebregondi, Bunkamura Museum di Tokyo, Tokyo, marzo-giugno 2015;

Bibliografia

  • B. Pollinari, Cose per il museo (1890), Scritti d’arte, Piacenza, 1894, p.263;
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  • G. Ferrari, Botticelli e l’Antonello da Messina del Museo Civico di Piacenza, in “Rassegna d’Arte”, III, 1903, p.76;
  • G. Ferrari, Il Civico Museo di Piacenza, Piacenza 1903, p.35;
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  • F. Ghittoni, Del Museo Civico e della tavola del Botticelli, in “Il Progresso”, aprile 1903, p.3;
  • F. Ghittoni, La Madonna del Botticelli restaurata, in “Il Piccolo”, 17 maggio 1903, p.3;
  • G. Ferrari, Il Civico Museo di Piacenza, Piacenza 1903, pp.5–11;
  • G. Tononi, Mostra d’arte sacra in Piacenza, in “Il Piacentino Istruito” 1903, pp.27–28;
  • L. Ozzola, La Pinacoteca del Museo di Piacenza, in “Rassegna Nazionale”, 16 marzo 1904, pp.209–216;
  • L. Ozzola, I Tondi nell’arte, in “Rassegna Nazionale”, 1904, p.724;
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Scheda di S. Pronti, in Il Palazzo Farnese a Piacenza. La Pinacoteca e i Fasti, catalogo della mostra (Piacenza, 1992) a cura di Stefano Pronti, Milano 1997

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